Che cos’è la loudness war?
La loudness war è la tendenza che si è stabilita negli anni dove il livello delle produzioni e masters finali sono state spinte al limite della distorsione per riuscire ad avere il massimo impatto sonoro sull’ascoltatore.
Negli anni, le case discografiche si sono fatte la guerra a chi riuscisse a far uscire i propri prodotti a livelli piu alti. Al giorno d’oggi, anche se le labels non sono piu’ cosi determinanti nella distribuzione dei prodotti musicali (a causa di internet) questo trend sembra continuare anche a livello di artisti indipendenti, i quali cercano di procurarsi un po’ di visibilita’ in piu’ nel cyberspazio facendo ricorso agli stessi stratagemmi impiegati dalle labels decenni addietro.
Questo tipo di pratica avviene perchè l’orecchio umano percepisce livelli alti di pressione sonora come “piu’ bilanciati”, con basse piu definite e di impatto.
In realta’ questo tipo di fenomeno è una mera illusione. Quello che il nostro cervello codifica come “migliore” altro non è che una deformazione del nostro sistema uditivo ove le basse frequenze sembra vengano a mancare a bassi livelli.
Un grafico molto noto agli “addetti ai lavori” è il cosiddetto grafico di Fletcher-Munson:
Questo grafico evidenzia come la linearita’ della risposta in frequenza del nostro udito ad alti livelli di pressione sonora (110db) sia superiore rispetto a bassi livelli (20 db) dove percepiamo principalmente le medie frequenze. Questo tipo di comportamento uditivo si è sviluppato come conseguenza al fatto che l’uomo, a differenza di altri animali, si affida molto alla comunicazione verbale e di conseguenza ha sviluppato nel tempo una sensibilita’ elevata nella zona di frequenza che va dal 1k ai 4k (quella della voce umana).
Per questo motivo, per arrivare a tali livelli di pressione sonora in mastering, un uso pesante sia di compressione che di limiting viene applicato al master finale, introduciendo parecchia (e alle volta decisamente troppa) distorsione armonica.
Il problema di tutto cio’ è che la qualita’ della musica ne sta risentendo tantissimo.
A parita’ di livelli di ascolto, un master dinamico suonera’ quasi sempre meglio di un mastering super compresso (in gergo “schiantato”)
Cosa comporta per il cliente finale ovvero chi acquista musica oggi?
A chi acquista musica oggi, questo puo’ comportare una diminuzione nella qualita’ sonora del prodotto acquistato.
Che cos’è il mastering per il digital streaming? Ovvero mastering ottimizzato per il web?
Con la rivoluzione che internet ha portato negli ultimi dieci anni, anche il modo di come ascoltiamo e consumiamo musica è cambiato.
Molti ascoltano musica tramite il loro smartphone o computers/tablet.
iTunes, Spotify e YouTube/Google Play essendo le fonti primarie.
La cosa da tener presente nel 2016 è che quando la musica viene ascoltata in “streaming” ( il che implica che il file audio non risieda nel dispositivo elettronico usato ma trasmesso in tempo reale da un server esterno), tutte le piattaforme menzionate di sopra adottano un processo di “loudness normalisation” durante il playback.
Questo altro non è che un controllo automatico del loudness. I files quando vengono caricati su questi siti, vengono analizzati da un algoritmo che ne calcola i LUFS (unita’ di misura moderna per il loudness) e automaticammente abbassa il livello in maniera conforme alle proprie direttive.
In altre parole, pittaforme differenti offrono livelli medi di “loudness” diversi:
Youtube = -13 LUFS
iTunes = -16 LUFS
Spotify = -16 LUFS
Il bello di tutto cio’ è che ascoltando album di artisti differenti di ere diverse, non si notano piu’ gran sbalzi di volume. Un po’ quello che succede in broadcast in TV. Cambi da un canale all’altro e il volume è sempre piu o meno costante.
Questo accade ora anche per la musica per fortuna.
Conclusioni:
Quando percio’ si fa il mastering per streaming, non ha proprio piu’ senso cercare di “schiantare” il pezzo per farlo suonare il piu’ forte possibile, perchè verra’ automaticamente abbassato in modo da rispettare il valore di LUFS di quella piattaforma.
E rifacendoci a quanto avevamo detto prima, dove abbiamo stabilito che un pezzo dinamico a parita’ di livello di playback, suonera’ sempre meglio di uno “schiantato”, è facile capire come al giorno d’oggi sia meglio rispettare le regole e ottimizzare il livello del mastering per lo streaming (il che a volte richiede un mastering separato da quello per il formato CD per esempio).
Brano Masterizzato a -13 LUFS vs CD Version a -6 LUFS

Come si capisce dalla foto, il master a -6 LUFS sara’ sicuramente piu’ di impatto di quello masterizzato a -13 LUFS.
Una volta pero’ caricato su YouTube, questo accade:
Si nota subito come i picchi del master “schiantato” caricato su YouTube non arrivino a fondo scala (al contrario del master a -13 LUFS) il che implica una diminuzione della percezione dei transienti (cassa, rullante etc) e di conseguenza generando l’impressione di essere piu’ “soft” e con meno “botta”…ma degradato a livello sonoro per via della distorsione aggiunta!
In cosa differisce dal mastering tradizionale per le altre forme di musica odierne quali i compact disc?
Il Compact Disc è un formato che sta morendo e fra 5-10 anni nessuno lo usera’ piu’. Il motivo principale è dovuto ad internet e allo streaming (la gente preferisce la scelta e comodita’ di questo approccio rispetto ad una qualita’ migliore ma scarsa versatilita’/praticalita’ del CD).
Di fatto, il mastering “tradizionale” puo’ essere definito come quello ottimizzato per il CD.
Il mastering dedicato per lo streaming è cosa piu’ recente e agli occhi di molti, è l’inizio della fine della loudness war.
Conclusioni:
Al giorno d’oggi, visto la diversita’ dei formati e piattaforme su cui verra’ trasmesso/codificato/processato il tuo master, è sempre meglio rivolgersi ad uno studio di mastering professionista per far in modo di non aver sorprese.
Quest’articolo è stato pubblicato anche su Prontopro con espressa autorizzazione di Swift Mastering.